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IoUT: Internet of Things subacquea

IoUT: Internet of Things subacquea

By francesco

Dopo che lo scambio di informazioni via internet ha permesso l’avvento di strumenti e sistemi interconnessi sia in ambito industriale che quotidiano, l’IoT è pronto a conquistare anche i fondali marini. Quella che fino a poco tempo fà sembrava essere una mossa impossibile potrebbe a breve trasformarsi in realtà. Si chiamerà Internet of Underwater Things – IoUT il progetto che consiste nell’immergere sensori e dispositivi smart interconnessi direttamente in acqua, visto che il nostro pianeta ne è composto per il 71%. C’è però ancora da valutare ogni singolo rischio connesso all’ambiente marino, che per caratteristiche si dimostra ostile a causa della fisica dei fluidi e della corrosione avanzata dell’acqua. 

Il progetto Natick

Nonostante le numerose complicazioni, la capacità di dissipazione dell’acqua sta attirando a sé numerose società, soprattutto i grandi provider di sistemi in cloud. Degno di nota il progetto Natick che punta a verificare l’efficienza e l’effettività della creazione di data center marini posizionati vicino alla costa. Il team coinvolto nella missione ha ben pensato di sfruttare a proprio vantaggio l’ecosistema marino, ben adattatosi all’intruso, per poter raffreddare le macchine e generare corrente dal moto delle onde. È quindi naturale interrogarsi sulla capacità di realizzare piccoli dispositivi capaci di resistere ad un ambiente ostile e in cui è più difficile reperire fonti energetiche utilizzabili per alimentare un grande numero di dispositivi. I sistemi che siamo soliti utilizzare in superficie, come cavi o connessioni a distanza, non si adattano al nuovo sistema ed il dubbio rimane sempre legato quindi a come reperire elettricità se il moto marino non dovesse bastare.

L’alimentazione subacquea come nuova sfida

Molti dei metodi che utilizziamo sulla terra ferma per ricavare e stipare energia, incontrano invece numerosi problemi sott’acqua. Fili, batterie o pannelli solari sono ovviamente inutilizzabili e per questo l’unica risorsa per ora sembra essere il movimento delle onde. Nuovo concept al centro del progetto del Medialab di MIT che propone di utilizzare materiali piezoelettrici per trasformare il movimento naturale sottomarino in energia e viceversa. Tutto al fine di trasferire sia dati che energia, con uno sguardo già puntato verso l’IoT subacqueo alimentato da una flebile corrente. Nonostante le difficoltà, piccoli sensori o rilevatori possono in ogni caso essere alimentati anche via terra se posizionati non troppo lontano dalla costa. 

La comunicazione sottomarina e le sue complicazioni

Fisica a parte, è esperienza comune che la comunicazione subacquea sia complicata, e lo stesso vale anche per i dispositivi elettronici. La propagazione di onde elettromagnetiche viene attenuata significativamente sott’acqua così come accade anche per quella basata sulla trasmissione della luce. Si differenziano invece le onde acustiche, utilizzate per la comunicazione sia animale che tra sonar, che sembrano essere la tecnologia su cui puntare. La banda offerta da questo tipo di comunicazione è comunque modesta e non troppo rapida, aspetto che porterebbe ad una più densa richiesta di dispositivi sottomarini.  Di conseguenza una ridotta banda potrebbe spingere allo sviluppo di protocolli dedicati, che limiterebbero il vantaggio introdotto dall’IoT di usare protocolli standard diffusi in tutti i sistemi con maggiore capacità di calcolo. Lo scenario che si immagina quindi è più una comunicazione terra-mare tra due dispositivi con il compito di fare da gateway verso i protocolli Internet e con i sistemi di calcolo edge. Il tutto come al solito in modo crittografato per rendere la comunicazione più sicura che mai.